SI DIFFONDE SEMPRE DI PIÙ E NEGLI STATI UNITI C’È LA PRIMA AZIENDA CERTIFICATA AL MONDO. MA COSA SI INTENDE CON QUESTA PRATICA?
Il punto di partenza è rappresentato dall’agricoltura biorigenerativa, un vero e convinto cambio culturale che mette il suolo e in particolare la sua microflora al centro dell’attenzione.
La vite è una delle colture che possono trarre i maggiori benefici da questo nuovo modello produttivo agricolo.
Entrando nello specifico, lo scopo di questa pratica di coltivazione è quello di riportare la terra alla piena vitalità ed efficienza. Per farlo bisogna agire sui minerali e sulla sostanza organica e microbiologica della terra, possibile combinando pratiche agricole biologiche per la nutrizione delle piante e la difesa delle colture. L’obiettivo è dunque ridare alla terra fertilità perché possa essere “casa” di piante sane e resistenti: viti incluse.
Nell’agricoltura biorigenerativa il modello di gestione agronomica tradizionale viene quindi rivoluzionato: per l’agronomia classica la pianta è il centro dell’attenzione e il suolo viene considerato poco più che un medium “neutro” su cui fare procedere le colture; la funzione di nutrizione viene gestita con concimazioni quasi sempre chimiche che il suolo deve semplicemente “assorbire”, per cedere poi i nutrienti alla pianta: il suolo ha perciò quasi esclusivamente una funzione “meccanica”, e la sua fertilità è quasi sempre riferita alla componente minerale in esso presente, non a quella biologica. Viene quasi del tutto ignorato il ruolo della sostanza organica del suolo, e soprattutto la capacità della microflora di regolare l’assorbimento e la distribuzione dei nutrienti per le piante.
La pianta viene perciò considerata come un essere passivo, una specie di malato terminale a cui somministrare flebo e vitamine per farla sopravvivere e “pomparne” la capacità di sviluppo, senza considerare che si tratta di un essere vivente e soprattutto senza valutare la sua capacità di nutrirsi in modo naturale grazie anche ai rapporti di relazione con la microflora del suolo. D’altro canto la microflora viene quasi del tutto ignorata dall’agronomia classica, come se essa non avesse alcuna funzione (quando invece essa ha un ruolo fondamentale nel facilitare la capacità di insediamento e di crescita delle piante e la funzione di nutrizione in un suolo), con il risultato che le pratiche agricole tendono a danneggiare la microflora, riducendo la capacità naturale del microbiota (l’insieme dei microrganismi presenti nel suolo) di offrire un ambiente “confortevole” e sano alle piante.
Nell’agricoltura biorigenerativa le lavorazioni ordinarie vengono quasi del tutto abbandonate (fra l’altro con un notevole risparmio di mezzi, manodopera e carburante) per preservare l’integrità del microbiota ed evitare di danneggiare le micorrize con l’arieggiamento del suolo; al posto delle concimazioni chimiche si utilizzano preparati microbici (sia nutritivi che ormonali) nelle diverse fasi fenologiche delle colture, per regolare la nutrizione e lo sviluppo vegetativo; si favorisce la rottura della suola di lavorazione per consentire alle piante di approfondire le radici al di sotto di essa e all’acqua meteorica di scendere in profondità per rendersi disponibile ai vegetali (come succede nei suoli indisturabati); la copertura del suolo viene garantita da tecniche come l’inerbimento e il cover crop (una coltura intercalare utilizzata per garantire la copertura del suolo e potenziarne l’attività microbica). Naturalmente è bandita la chimica (concimi, insetticidi e anticrittogamici) che, oltre ad essere estremamente nocivi per l’ambiente, avvelenando il suolo e per la salute umana e delle piante, esercitano anche una azione antisettica antagonista della microflora del suolo.
I risultati? Dal punto di vista dell’equilibrio suolo-pianta il miglioramento delle condizioni di evoluzione del suolo e l’integrazione di microrganismi che coinvolgono specie erbacee ed arboree favorirà una stabilizzazione della microflora, permettendo alle piante di migliorare la propria nutrizione e svilupparsi più armonicamente. Le piante possono perciò crescere più sane in un ambiente più sano, sviluppando naturalmente la propria capacità di resistere agli attacchi parassitari, invece che essere relegate al ruolo di “animali da laboratorio” malaticci e incapaci di difendersi dalle malattie.
Se quanto sin qui detto riguarda in generale tutte le colture, per quanto riguarda la vite in particolare si possono mettere in atto tecniche colturali biorigenerative particolarmente adatte a questa specie.
L’utilizzo del LAB (un preparato a base di batteri lattici), ad esempio, può permettere di contenere in modo preventivo le malattie fungine (che in caso di precipitazioni estive indurrebbero un significativo peggioramento della qualità e della quantità delle uve) rimuovendo naturalmente dalle pagine fogliari dei pampini (senza uso di anticrittogamici nè di rame o zolfo) quegli essudati zuccherini che sono l’alimento per i funghi patogeni (oidio e peronospora). L’uso del rame e dello zolfo, infatti, seppure ammesso dai protocolli dell’agricoltura biologica e biodinamica, non può essere considerata una tecnica propriamente “biologica”, in quanto produce una dispersione nell’ambiente di metalli pesanti, oltre a favorire una attività antisettica (che è quella che consente il contrasto dei patogeni fungini) che si ripercuote negativamente sul microbiota. Per non parlare del fatto che in annate con estati piovose come è capitato nel 2018 i tentativi di contenere peronospora e oidio esclusivamente con rame e zolfo non risultano in grado di contenere i danni alle viti e al raccolto.
Anche la qualità dell’uva, e in particolare i contenuti di acidi organici e componenti aromatiche migliorerà per effetto del regime biorigenerativo, con il risultato poi di far arrivare in cantina un’uva biologica di alta qualità, idonea per la produzione di grandi vini.
Infine l’agricoltura biorigenerativa produce un grande vantaggio anche per le tasche dell’agricoltore, vista la significativa riduzione dei costi di produzione: nessun costo per concimi, trattamenti chimici (sostituiti dai trattamenti effettuati con i preparati microbici), eliminazione delle lavorazioni del terreno ordinarie, sostituite da interventi di distribuzione dei preparati microbici (una parte dei quali realizzabili anche con la tecnica della distribuzione irrigua). Molti dei preparati microbici possono poi essere autoprodotti direttamente in azienda, senza bisogno di ricorrere a fornitori esterni e dunque a costi di approvvigionamento.
Produrre meglio e a costi minori sfruttando le potenzialità della biologia e la capacità di interazione fra piante e microrganismi del suolo: questo è l’obiettivo dell’agricoltura e della viticoltura biorigenerativa.
Tra i Paesi dove la viticoltura rigenerativa sta prendendo più piede ci sono certamente Francia, Spagna e Stati Uniti, dove sono nate varie associazioni che rappresentano un punto d’incontro per i viticoltori che vogliono condividere informazioni, esperienze e conoscenze a sostegno della biodiversità e del contrasto ai cambiamenti climatici.
Resta a questo punto una domanda cui dare risposta. E il gusto del vino? Chi pratica l’agricoltura rigenerativa ne è convinto: migliora!
Per Jason Haas, il primo al mondo ad ottenere la certificazione biologica rigenerativa nella sua Tablas Creek Vineyard di Paso Robles, in California, è così che si ottengono vini capaci realmente di enfatizzare il terroir e, addirittura, di dare ai vini “il sapore” del luogo.
D’altra parte lo slogan della Regenerative Orgnica Alliance, quella che rilascia la certificazione, è chiara: Farm like the world dependence.
Fascino l’agricoltura rigenerativa, c’è da ammetterlo, ne ha. Voi cosa ne pensate?
Fonti:
https://www.enolo.it/lagricoltura-rigenerativa-e-il-futuro-del-vino-il-trend-ce/