Vino dealcolato : un mercato in crescita

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Pronti all’avanzata dei vini senza alcol? La domanda da parte dei consumatori cresce e il mercato ha un bel potenziale: ecco perché produrre vini dealcolati è un buon affare.

Torniamo a parlare di vini dealcolati per la terza volta (qui la prima e qui la seconda) perché il tema si sta facendo davvero interessante. Prima di storcere il naso, cerchiamo di capire i termini della questione, partendo da un primo punto inconfutabile: nel mondo il 50% della popolazione adulta non consuma bevande alcoliche. Che i motivi siano religiosi, di salute o anche di gusto, il risultato non cambia: c’è tutto un target da conquistare che definire strategico sarebbe riduttivo.

Ma da chi è rappresentato? Da alcune indagini condotte sono stati individuati dei profili ben precisi di consumatori di vino parzialmente o totalmente dealcolato: alcune fasce di età (per esempio molti giovani che cercano alternative all’alcol), le donne, che mostrano un maggiore interesse per questi prodotti, chi ha più di sessanta anni (per motivi di salute) e persone che sono in determinate situazioni (donne in gravidanza, sportivi, chi presenta problemi di salute come diabete o malattie del fegato).

Anche se oggi a livello mondiale il campo è dominato dalla birra, i cui produttori si sono orientati da anni verso la dealcolizzazione, il mercato dei vini dealcolati mostra di avere un bel potenziale. Nel 2021, il mercato della dealcolizzazione valeva 7,5 miliardi di euro, di cui 322 milioni di euro per il vino parzialmente o totalmente dealcolato (i principali mercati sono: Francia con 166 milioni di euro, Germania con 69,3 milioni di euro, Italia con 30,6 milioni di euro e Spagna con 15 milioni di euro). Entro il 2025, il mercato globale della dealcolizzazione potrebbe avere un valore complessivo da 30 miliardi di dollari, di cui l’80% sarà rappresentato dalla birra analcolica.

Tuttavia, al netto dello strapotere della birra, il grafico seguente, che prende in considerazione i vini parzialmente e totalmente dealcolati, i vini aromatizzati e i vini non aromatizzati, mostra che le prospettive di crescita sono impressionanti: tra il più 7% e il più 10% di incremento annuo, in tutte le regioni del mondo. Nello stesso periodo, le prospettive di crescita annuale del consumo di vino “classico” sono stimate all’1%.

Fonte foto: Giulia Romualdi – AgroNotizie®

Se consideriamo i vini dealcolati per categoria, nel periodo 2018-2023 le vendite di vini fermi parzialmente o totalmente dealcolati sono cresciute del 13% e quelle dei vini frizzanti parzialmente o totalmente dealcolati del 5,6%.

Un secondo punto è invece strettamente collegato al fatto che da alcuni anni il consumo annuo pro capite di bevande alcoliche nei Paesi che tradizionalmente sono stati i maggiori consumatori, tende a diminuire. Nel 2022, secondo dati di Wine Intelligence, un terzo dei consumatori negli Stati Uniti ha deciso di diminuire il proprio consumo di alcol, il 36% in Giappone, il 56% in Australia e il 58% in Svizzera. Venendo all’Europa, secondo le elaborazioni dell’Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini su dati della World Bank, il consumo di alcol pro capite ha subìto un decremento medio annuo del 3,2% in Italia, dell’1,8% nel Regno Unito, dell’1,4% in Francia e nei Paesi Bassi e dell’1% in Germania.

Può quindi il vino senza alcol prendersi – o riprendersi – un consumatore non esattamente alcol addicted? E qua entrano in gioco le previsioni dell’istituto Iwsr Drinks Market Analysis secondo cui, in 10 mercati chiave, la categoria dei vini no-low alcol segneranno una crescita media annua dell’8% in volume (2021-2025). In particolare, per il vino fermo no-low alcol si prevede un incremento di oltre il 20% (2021-2025) e un raddoppio dei volumi entro il 2025. Gli attori protagonisti di questi nuovi trend saranno i giovani tra i 20 e i 30 anni, proprio quella generazione che il mondo del vino tradizionale ha difficoltà ad attrarre a sé.

Un altro studio effettuato da Messe di Düsseldorf, l’organizzatore del ProWein, che ha interessato i rivenditori di vino di 16 mercati, ha disegnato la mappa delle piazze più interessate al trend: Regno Unito in testa (53%), seguito Olanda (43%), Finlandia (36%), Germania (34%) e Norvegia (33%). Sulla scelta del Regno Unito come mercato chiave influisce anche un motivo strettamente economico: il sistema fiscale britannico applica tariffe molto basse o addirittura nessuna tariffa sui prodotti a bassa gradazione alcolica. E questa potrebbe essere un ulteriore punto di forza per questo tipo di prodotto.

Guardando alle tipologie di vino, sono i bianchi (73%) e gli spumanti (58%) a guidare la categoria no-low alcol, davanti ai rosati (37%) e, infine, ai vini rossi (27%). In questa scelta, c’è anche una ragione tecnica: dealcolare i bianchi è più semplice rispetto ai rossi, per i quali l’industria deve lavorare soprattutto sull’eccesso di tannini.

Venendo agli aspetti legislativi, ad introdurre per la prima volta la possibilità di produrre vini senza alcol in Europa è stata la Pac 2023-2027 approvata ad ottobre del 2021, seguita dal Regolamento UE 2021/2117 del 2 dicembre 2021 che ha autorizzato e regolamentato la produzione e commercializzazione di vino totalmente o parzialmente dealcolato nell’Unione Europea trovando un compromesso tra vini da tavola e a denominazione: via libera alla dealcolizzazione totale dei primi (titolo alcolometrico inferiore a 0.5%) e parziale dealcolizzazione per Dop e Igp (titolo alcolometrico superiore a 0.5%).

La nuova Pac ha, quindi, aperto la strada, ma per l’Italia non è stato sufficiente in quanto c’era ancora un ostacolo insormontabile alla pratica: il Testo Unico del Vino, che prevede multe salate per chi detiene in cantina vino con titolo alcolometrico minore di 8 gradi.

Ostacolo che ora, ed un po’ a sorpresa dopo l’iniziale chiusura netta del ministro Lollobrigida, il Ministero delle Politiche Agricole, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (Masaf) ha affrontato inviando alle organizzazioni professionali uno schema di decreto, relativo appunto ai vini dealcolati e parzialmente dealcolati, elaborato a seguito di un confronto con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (Adm) e l’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari (Icqrf) che apre alla loro produzione anche in Italia: “È possibile ridurre parzialmente o quasi totalmente il tenore alcolico dei vini” si legge nel testo “ma i vini sottoposti al processo di dealcolizzazione sono unicamente i vini senza denominazione di origine e indicazione geografica”.

Dopo mesi di braccio di ferro, quindi, anche il Governo ha intuito che il divieto avrebbe portato solo ad un vantaggio competitivo per chi questa tipologia di vino lo produce già, ovvero tutti i principali Paesi competitor dell’Italia, Spagna e Germania in primis. Tuttavia, rispetto a questi stessi Paesi e, in generale, alla Pac, l’Italia tiene il punto su Doc e Igt, riservando la possibilità di dealcolizzazione e di parziale dealcolizzazione solo ai vini generici. La Pac, invece, come già ricordato sopra, aveva dato il via libera anche alle Do, ma solo relativamente ai vini low alcol.

Ma vediamo alcuni punti della bozza di decreto:

Art. 2 (Modalità di esecuzione):

  1. I vini sottoposti al processo di dealcolizzazione sono unicamente i vini senza denominazione di origine ed indicazione geografica.
  2. A conclusione del processo di dealcolazione parziale e/o totale è possibile effettuare sui prodotti ottenuti le pratiche ed i trattamenti enologici di cui al regolamento delegato.
  3. Nell’etichettatura dei prodotti ottenuti a seguito del processo di dealcolizzazione totale o parziale è riportata la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato” di seguito alla relativa categoria e le altre indicazioni di cui all’articolo 40 del regolamento 2019/33. La categoria e il termine “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato” appaiono in etichetta in un testo omogeneo con caratteri di pari rilievo grafico.
  4. Il processo di dealcolizzazione può avvenire esclusivamente presso stabilimenti dotati di licenza di deposito fiscale per la produzione di alcol. Fino alla realizzazione di una specifica funzionalità telematica, le singole lavorazioni sono preventivamente comunicate, entro il quinto giorno antecedente alla loro effettuazione, mediante PEC, agli uffici territoriali dell’ICQRF e dell’ADM secondo competenza.

Ovviamente, e non poteva essere altrimenti, il punto 7 è quello destinato a rimanere molto controverso.

In altre parole, infatti, la dealcolizzazione può essere praticata solo presso le distillerie e sotto il controllo dell’Agenzia delle Dogane. Alle cantine il compito di imbottigliare il prodotto. Inoltre, l’alcol risultante dal processo di dealcolizzazione potrà essere utilizzato esclusivamente per fini industriali.

Una scelta che non è piaciuta ai produttori di vino, da tempo in attesa del via libera per poter intraprendere la produzione di low e no alcol anche in Italia (molti per farlo son dovuti ricorrere ai loro stabilimenti fuori confine) e che invece si vedrebbero superati a destra dall’industria degli alcolici.

Arriveranno ulteriori indicazioni/rettifiche? Staremo a vedere, nel frattempo un primo doveroso passo in avanti è stato fatto.

Fonti: Gambero Rosso – Wine News – AgroNotizie – Unione Italiana Vini