L’Europa tenta di armonizzare una pratica già adottata in alcuni Paesi, ma in Italia il mondo vitivinicolo si spacca tra chi urla allo scandalo e chi vi vede delle nuove opportunità. Molti dubbi ha suscitato il termine “restitution of water”, ma Bruxelles smentisce l’annacquamento e ribadisce che le Doc non diventerebbero alcol free.
L’argomento dei cosiddetti vini dealcolati non è nuovo (ce ne siamo già occupati nel 2019, nell’articolo “Vino senza alcol: favorevoli e contrari”), ma è diventato un caso mediatico negli ultimi giorni dopo la circolazione del documento – ancora in bozza – di un Regolamento comunitario (n. 1308/2013) attualmente in discussione a Bruxelles, che prevede di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol.
In realtà tale possibilità era già presente nella prima proposta della Commissione Europea di giugno 2018, dove facevano la loro comparsa proprio i termini “vino dealcolato” (con tasso alcolometrico non superiore a 0,5% vol.) e “vino parzialmente dealcolato” (con tasso alcolometrico compreso tra 0.5% e il limite stabilito per Paese, in Italia circa il 9%).
Adesso siamo, quindi, alla fase finale. Quella in cui, con la nuova Pac alle porte, bisogna prendere la decisione: inserire o meno questi prodotti all’interno del comparto vini?
In Italia, almeno fino a questo momento, un prodotto per essere chiamato vino deve presentare una gradazione di almeno 9 gradi (ogni denominazione, poi, fa riferimento al disciplinare specifico).
CHE COSA DICE IL DOSSIER UE?
In attesa della decisione che sarà presa il 26 maggio a conclusione degli incontri, cerchiamo di fare chiarezza e di capire cosa c’è davvero scritto nel documento in discussione.
In primis, il testo chiarisce che per quanto riguarda Dop e Igp, sarà consentita solo una dealcolizzazione parziale. Le pratiche di dealcolizzazione totale, quindi, rimarrebbero appannaggio dei vini da tavola.
Saranno inoltre stabiliti dei requisiti di etichettatura obbligatoria in cui tali prodotti saranno sì chiamati vini, ma con la specifica di “dealcolati” o “parzialmente dealcolati” e chiaramente gradazione alcolica in evidenza. In merito alle pratiche consentite per la deacolizzizione, oltre a quelle già in uso, ne vengono introdotte altre tra cui il procedimento che ha scatenato le maggiori polemiche, l’aggiunta di acqua che nel testo è indicata come restitution of water, ovvero “reintegrazione di acqua”.
Ma che cosa significa? Semplicemente, nel processo normale di dealcolizzazione, cioè quando viene estratta la molecola dell’etanolo, l’acqua viene tolta per essere dopo reintegrata.
LA POSIZIONE DI BRUXELLES: “MAI PARLATO DI ANNACQUARE IL VINO”
Intanto da Bruxelles, dopo il polverone mediatico che si è scatenato in Italia, arrivano delle precisazioni: “La Commissione Europea non ha mai proposto di annacquare il vino, ma semplicemente di modificare il quadro giuridico Ue per consentire lo sviluppo dei vini dealcolati, cioè con un tenore alcolico minore rispetto al vino propriamente detto, prodotti per cui si riscontra una domanda crescente e che potrebbero costituire un’opportunità interessante per il settore” ha spiegato il portavoce della Commissione Balazs Ujvari. Secondo il portavoce, infatti, “la domanda dei consumatori di vini con minore tenore alcolico è aumentata in modo significativo negli ultimi anni. Tuttavia, va notato, che la proposta della Commissione non fa alcun riferimento all’aggiunta di acqua“.
FAVOREVOLI E CONTRARI
Fatta chiarezza sulle parti più controverse della proposta, rimane da capire se conviene introdurre i dealcolati nel pacchetto vino o meno e quali potrebbero essere i rischi e le opportunità per i produttori.
E qui la filiera italiana appare spaccata. Per il fronte dei favorevoli, tra cui Unione Italia Vini e Federvini, è importante che queste nuove categorie rimangano all’interno dei prodotti vitivinicoli perché c’è un mercato enorme che richiede tali prodotti e portarli all’interno della famiglia dei prodotti vitivinicoli significherebbe sia controllarne il metodo di produzione, sia aggredire nuovi mercati.
Lasciarle, invece, al mondo “bevande” le renderebbe preda di altre industrie, diventando quindi dei concorrenti.
Vale la pena ricordare che, attualmente, l’Italia produce 50 mln di ettolitri di vino dei quali la metà è vino comune. Una parte di questo non si sa come valorizzarlo e venderlo e se questa categoria prenderà spazio tra i consumatori, saranno i nostri imbottigliatori a guadagnarci qualcosa, piuttosto che le industrie alimentari o di bevande.
Insomma, meglio entrare nel business invece che restarne fuori o addirittura subirlo.
Francia, Spagna e Germania, ad esempio, hanno già da tempo adottato norme nazionali che definiscono il vino dealcolato e il vino parzialmente dealcolato, mentre l’Italia si è limitata a consentire alcune eccezioni nel caso di prodotti tradizionali, ad esempio il “vino di ciliegia”.
Sul fronte dei contrari troviamo invece Coldiretti, che punta il dito soprattutto sul già citato “annacquamento”, definendolo “un inganno legalizzato per i consumatori” e affermando che in questo modo verrebbe permesso di chiamare vino un prodotto in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto.
Dello stesso avviso anche il presidente di Alleanza Cooperative Luca Rigotti che, pur concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in Regolamenti del settore vitivinicolo e pur non essendo a priori contrario ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentano un’opportunità commerciale, ritiene che debbano essere chiamati diversamente, ad esempio “bevande a base di vino”.
LA POLITICA ADESSO DICE NO
Dal canto suo, il mondo politico prova a rassicurare.
L’europarlamentare Paolo De Castro afferma che un vino senza alcol non può essere definito tale e per questo il Parlamento si è sempre espresso contro, anche se comprende le opportunità commerciali e d’export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati, anche per fronteggiare la concorrenza di altri prodotti alcolfree in tutti quei Paesi dove si consumano solo bevande analcoliche.
In ogni caso, alla base di qualunque decisione e futura norma in materia, le informazioni riportate sulle etichette dovranno essere chiare per tutti i consumatori, dando loro la possibilità di compiere scelte di acquisto pienamente informate anche in merito alle pratiche enologiche eventualmente utilizzate per consentire l’estrazione di alcol, soprattutto nel caso in cui questo avvenga tramite l’aggiunta di acqua.
Fonte: Gambero Rosso