Angelo Gaja, storico produttore di vino, condivide e commenta tramite WineMeridian quelli che secondo lui sono i 3 cambiamenti nel mondo del vino. Eccoli qui di seguito.
1. La perdita della funzione alimentare del vino
Gaja afferma che oggi il vino ha perso la sua funzione alimentare e afferma che nei paesi produttori, da bene alimentare che era, il vino ha assunto la funzione di bene di lusso, indipendentemente dal prezzo, perché non indispensabile e non di prima necessità. Il paese più preparato ad affrontare la transizione fu la Francia, che al vino come bevanda di lusso aveva sempre riservato una minuscola nicchia. Per l’Italia, invece, il passaggio è stato culturalmente più faticoso da affrontare a causa delle molte strutture, regolamenti e resistenze che traevano ispirazione dalla funzione alimentare.
I beni di lusso richiedono tecniche di vendita diverse: occorre mettere in atto azioni di marketing appropriate, aggressive e continue nel tempo, anziché accontentarsi della vecchia strategia rinunciataria e perdente del prezzo basso.
2. Il cambiamento climatico
Angelo Gaja si sofferma poi sul cambiamento climatico, da non sottovalutare, in quanto è divenuto un tema di grande attualità e i rimedi per contrastarne gli effetti sono stati ampiamente dibattuti. A oggi è possibile osservare che altri paesi stiano peggio dell’Italia. Giacomo Tachis, il padre dei consulenti vinicoli italiani, diceva che “il vino ama il respiro del mare”. Il nostro Paese, con 8.000 chilometri di fascia costiera, è molto più favorito della Francia e della Spagna, gode di una orografia che lo rende ricco di acqua (ne vendiamo anche miliardi di litri in bottiglia), la conformazione collinare consente di elevarsi di quota, alla ricerca di climi più freschi (cosa che non può fare Bordeaux, per esempio). L’Italia, inoltre, annovera un ampio numero di varietà di maturazione tardiva, che il cambiamento climatico penalizza meno di quelle precoci delle quali la Francia è ricca. L’annata 2017 insegna, per chi vuole imparare, le misure di contrasto da adottare.
3. I vini varietali
I vini varietali sono molto rilevanti, perchè numerosi Paesi extra-europei, da potenziali importatori di vino che erano, si attrezzano per diventare produttori. L’avvio lo diedero gli Stati Uniti che si ispirarono alla Francia. L’esempio degli Stati Uniti fu ben presto seguito da Cile, Argentina, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Israele… (sulla stessa strada si sta avviando la Cina), i quali fecero crescere la produzione con l’obiettivo dapprima di consolidare la domanda sui rispettivi mercati interni e poi diventare anch’essi paesi esportatori.
Tutti a produrre vini dalle poche identiche varietà francesi, quelli che con malcelato disprezzo definiamo di gusto internazionale. Questi vini godono sui mercati extraeuropei di crescenti vantaggi: portano nomi varietali, pochi e facili da memorizzare; a farne crescere la domanda contribuiscono congiuntamente tutti insieme i paesi del nuovo mondo, costruiscono assuefazione al gusto specie tra i nuovi consumatori, sono sostenuti da un marketing aggressivo e differenziato, le cantine che li producono non godono di sostegno pubblico, così la selezione degli imprenditori capaci di stare sul mercato è più efficace.
L’Italia è l’unica nazione a produrre e costruire domanda su vini derivanti da alcune centinaia di varietà storiche, coltivate esclusivamente nel nostro paese, che danno origine a oltre 520 denominazioni.
Oggi si avvertono segnali di inquietudine a causa di un mercato estero divenuto più competitivo. I cambiamenti ai quali ha accennato Angelo Gaja creano difficoltà e problematiche nuove, per affrontare le quali occorrono apertura mentale, capacità di osservazione, disponibilità ad assumere il rischio di impresa, applicazione di nuove strategie, investimenti.
Anche i produttori medio – piccoli (gli aggettivi fanno riferimento alla dimensione aziendale) ne hanno consapevolezza e molti sono in grado di accogliere la sfida. Il sostegno che essi sono in grado di offrire al successo del vino italiano viene spesso sottovalutato: essi sono capaci di pensare diverso, di esplorare strade nuove, e lo fanno con capitali propri e a proprio rischio senza avvalersi del denaro pubblico.
Per favorire la crescita del vino italiano è indispensabile allentare l’abbraccio soffocante della burocrazia e rimuovere le molte ruggini accumulate nel tempo.
Dovremmo, infine, imparare a indignarci nel 2018, perché verremo ad apprendere di cantine che venderanno all’ingrosso, agli imbottigliatori, volumi di vino italiano dell’annata 2017 a meno di un euro al litro, quando il calo di produzione nazionale potrebbe superare il 30%. Che interesse ha l’Italia a gareggiare per il primato della quantità annuale di produzione di vino, confortati come è vero che sia anche di buona qualità, e poi apprendere che all’export viene venduto a un prezzo medio al litro che è uno dei più bassi al mondo?
A voi le considerazioni…